Resto qui (M.Balzano)

A guardarlo da vicino questo libro potrebbe essere riassunto semplicemente citando il titolo, a cui forse solo per mettere un’impronta aggiungerei il pronome personale: Io resto qui.
L’autore ci racconta una storia: quella di Trina, una ragazza che vive a Curon paesino del Sudtirolo, italiano solo per confini geopolitici, che studia per fare la maestra in quei monti che si affacciano alla Svizzera e all’Austria, tra i pascoli verdeggianti, il fiume e il freddo pungente d’inverno. Ma la seconda guerra mondiale arriva anche qui ai limiti del mondo e lo stravolge, gli uomini sono costretti a partire per il fronte, Mussolini bandisce l’uso del tedesco in favore dell’italiano, che in paese non conosce nessuno, alle insegnanti locali viene proibito di praticare e le scuole austriache vengono soppiantate in favore di quelle italiane.
Trina è determinata e inizia ad insegnare nelle aule che vengono allestite in segreto nei fienili, nelle soffitte, dove i bambini possono imparare a leggere e scrivere in tedesco sotto la minaccia costante di essere scoperti e le insegnanti confinate in un posto sperduto del sud Italia:

in Sicilia in mezzo ai negri.

Trina intanto diventa donna, sposa, mamma di due figli: Marica che scomparirà nel nulla a cui dedica pagine e pagine di diario senza mai perdere la speranza di rivederla e Michael che da grande si arruolerà nelle file naziste perdendo per sempre il rapporto con il padre.
Quando la guerra bussa alla porta, Trina e il marito ormai soli scappano sui monti in cerca di salvezza, a stretto contatto con la morte, la fame, la solitudine.
Si ritorna a casa, la guerra è finita ma non la lotta, a Curon sono ripartiti i lavori per la costruzione di una delle dighe più grandi d’Europa: il progresso, dicono, deve partire da questa valle. Così coloro che ancora non se ne erano andati prima o durante lo scoppio del conflitto bellico lo fanno adesso, ma non Trina, non Erich che guardano dal maso la collina che viene inghiottita dal cemento e dall’acqua, le case che vengono abbattute col tritolo, gli espropri forzati in casupole da 34 mq dove si trovano a vivere. L’unica cosa che rimane a monito della violenza della Storia che fu è il campanile della Chiesa,

che sporge dall’acqua fino a metà della torre che da allora svetta come il busto di un naufrago sull’acqua increspata.

E’ un romanzo che ci racconta la resistenza, non quella partigiana di cui sono piene le pagine dei libri, ma quella umana: di vita vissuta, di prospettive, di paure, di illusioni, di ideali, di restare nonostante tutto.
Ripercorriamo pagina a pagina la vita di frontiera dei protagonisti come se fossero incastrati in un tempo che non esiste più, in un territorio che la Storia chiama Italia di cui nessuno si sente parte, in una lingua che non gli appartiene, in un’industrializzazione che non hanno mai cercato e mai voluto.
Un libro attualissimo che ci dà una prospettiva nuova su un capitolo della Nostra Storia molto triste, molto combattuta e ancora poco conosciuta.
Quante vite e quante città abbiamo sommerso per arrogarci il diritto di pensare che di Italia ce ne fosse una sola?
Da leggere assolutamente per dar voce con la lettura a un mondo nascosto sotto l’acqua ma molto più in superficie di quanto si possa pensare.